A Firenze, Pertini entrò in contatto con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini a Gaetano Salvemini, ai fratelli Rosselli e a Ernesto Rossi.In questo periodo aderì al movimento di opposizione al fascismo "Italia Libera".

Nell'Ottobre 1922, a seguito della marcia su Roma, il fascismo prese il potere.

Il giovane avvocato Pertini divenne ben presto il bersaglio di ripetute violenze squadriste; il suo studio di avvocato a Savona venne più volte distrutto, egli stesso fu bastonato in più occasioni dagli squadristi in quanto indossava una cravatta rossa, oppure ancora per una corona di alloro dedicata alla memoria di Matteotti. Nel 1924, dopo il barbaro assassinio di Giacomo Matteotti da parte dei fascisti, entro' nel PSU ed iniziò un'intensa attività di lotta contro il fascismo. 

Il 22 Maggio 1925, Pertini venne arrestato a Stella per aver stampato a sue spese e distribuito il foglio clandestino, dal titolo "Sotto il barbaro dominio fascista". 

Negli articoli pubblicati in quell'opuscolo e rivendicati da Pertini come propri venivano posti in rilevo le responsabilità della monarchia verso il perdurare del regime fascista e delle sue illegalità e violenze.Inoltre, si esprimeva sfiducia nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia le eventuale complicità del generale Emilio De Bono nel delitto Matteotti.

Accusato di "istigazione all'odio tra le classi sociali" (art. 120 del Codice Zanardelli), oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo, Pertini, sia nell'interrogatorio dopo l'arresto sia di fronte al procuratore del re, sia durante l'udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e si disse disposto, qualunque fosse la condanna inflittagli, a proseguire nella lotta antifascista e per il socialismo e la libertà. 

Il 3 Giugno di quello stesso anno fu condannato a otto mesi di detenzione e al pagamento di una ammenda per i reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia ma fu invece assolto per l'accusa di istigazione all'odio di classe.

Liberato dopo il vittorioso appello del suo difensore, G.B. Pera, Pertini proseguì nella sua lotta.

Il 9 Giugno 1925, alla vigilia dell'anniversario del delitto Matteotti, con l'aiuto di alcuni operai, Pertini riuscì ad appendere sotto la lapide che alla fortezza di Savona ricordava la progionia di Giuseppe Mazzini una corona con un nastro rosso e la scritta "Gloria a Giacomo Matteotti".

Le violenze e le bastonature fasciste proseguirono con maggiore violenza. La più grave, nell'estate del 1926, lo costrinse al ricovero all'ospedale.

Nel Novembre 1926, dopo il fallito attentato di Bologna a Mussolini da parte del quindicenne Anteo Zamboni, Pertini, come molti altri antifascisti in tutta Italia, fu oggetto di nuove violenze da parte dei fascisti e fu quindi costretto ad abbandonare Savona e a rifiugiarsi a Milano. 

Il 4 Dicembre 1926, con la proclamazione delle leggi eccezionali antifasciste, Pertini venne assegnato al confino per la durata di cinque anni (il massimo previsto dalla legge).

Ormai in clandestinità, rifugiatosi presso l'abitazione milanese di Carlo Rosselli, Pertini ebbe modo di conoscere di persona il "maestro" del socialismo riformista Filippo Turati.

Pertini fu tra gli organizzatori del clamoroso espatrio del leader del socialismo riformista italiano, deciso per sottrarre il leader socialista alle mani dei fascisti.

All'ultimo momento, anche in considerazione dell'avvenuta assegnazione al confino, Pertini venne prescelto come accompagnatore di Turati verso l'esilio francese. Per prima cosa, fu deciso di dirigersi verso Savona. 

Dall'8 all'11 Dicembre, Pertini e Turati trovarono rifugio in casa di Italo Oxilia a Quigliano. Nella notte tra l'11 e il 12 Dicembre, accompagnati da Ferruccio Parri, Carlo Rosselli e Adriano Olivetti, nonché da Boyancé, Oxilia, Da Bove e dal meccanico Amelio, Turati e Pertini si imbarcarono da uno dei moli di Savona su un motoscafo guidato da Oxilia e Da Bove. Dopo una tempestosa navigazione, raggiunsero, la mattina del 12, la città di Calvi, in Corsica. Mentre gli altri ripartivano per l'Italia nel pomeriggio del giorno successivo, Pertini e Turati rimasero, come stabilito, in Francia.

In una pagina piena di commozione, Pertini rievocherà l'amarezza del distacco di Filippo Turati, consapevole che mai più sarebbe tornato in Italia, dal suo paese.

Il mattino del 14 Dicembre, Parri e Rosselli, scoperti dalla polizia mentre attraccavano con il motoscafo a Marina di Carrara, vennero subito collegati al clamoroso espatrio di Turati. La vicenda si concluse con il famoso Processo di Savona, che si concluse il 14 settembre 1927 con la condanna a 10 mesi di reclusione per Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Da Bove e Boyancé, nonché di Turati e Pertini, in contumacia. Anche Oxilia, in quanto capo della spedizione, subì una dura condanna.

Il processo di Savona fu anche una delle ultime manifestazioni collettive contro il fascismo.

In esilio, Pertini strinse contatti con gli altri antifascisti italiani e partecipò al Congresso della Lega dei diritti dell'uomo tenutosi a Marsiglia. Trasferitosi a Parigi e poi a Nizza, fece diversi lavori per sopravvivere: dal lavatore di taxi al manovale, al muratore, dal peintre en bâtiment alla comparsa cinematografica. Nel 1928, con il denaro ricavato dalla vendita di una masseria ereditata in Liguria, Pertini, sotto il nome falso di Jean Gauvin, impiantò una trasmittente radio a Eze, vicino a Nizza, per svolgere propaganda contro il fascismo. Scoperto, fu processato e condannato dal Tribunale di Nizza ad un mese di reclusione (sospeso per la condizionale) e al pagamento di una ammenda.

Fin dal primo momento del suo soggiorno francese, Pertini si dimostrò insofferente alla vita dell'esule. Il suo carattere gli imponeva di rientrare quanto prima in Italia e a partire dai primi mesi del 1929 cominciò a predisporre un piano per rientrare in patria.

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Sandro Pertini

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